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Balie da latte

Una forma peculiare di emigrazione temporanea

Una delle sezioni più significative del Museo Etnografico Dolomiti è quella dedicata alle balie da latte, giovani madri che, a partire dai primi decenni del secolo XIX, emigravano verso le principali città italiane per offrire il proprio latte sostanzioso ai neonati dell’aristocrazia e della borghesia, in cambio di adeguati compensi.

“La baliomania” delle contadine, ritenuta negli ambienti clericali veicolo di pericolosi cambiamenti di mentalità, si diffuse soprattutto nelle aree prealpine del territorio bellunese e in particolare nel Feltrino.

Le donne aristocratiche e alto borghesi demandavano la pratica dell'allattamento a nutrici fidate, per non interrompere la loro vita mondana e per non rovinare il proprio corpo. In pochi casi la richiesta era dovuta alla mancanza di latte.

Le balie, che dovevano avere un aspetto sano, latte copioso e nutriente, lasciavano il proprio bambino di pochi mesi ai parenti o ai conoscenti, sapendo che talvolta il forzato cambiamento di alimentazione del lattante poteva provocare malattie intestinali anche mortali.

Tra la balia e il figlio di latte si instaurava un legame molto forte, che si consolidava ulteriormente quando la nutrice rimaneva dopo l'anno dell'allattamento.

Al rientro in paese, il problema maggiore era quello di ricucire i legami affettivi, allentati dalla lontananza, specie con i figli piccoli che non riconoscevano più la madre.

Il ricorso alle balie da latte raggiunse il suo acme nel periodo fascista, quando la chiusura delle frontiere ridusse l’emigrazione maschile, gettando molte famiglie in uno stato di prostrazione e miseria.

La diffusione del latte in polvere e le trasformazioni sociali contribuirono ad accelerare la fine di questa drammatica emigrazione intorno agli anni Cinquanta del Novecento.


Sempre nella sezione “Primo piano”

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Aggiornata lunedì 14 novembre 2022 a cura di Marco Zucco

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