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Animali selvatici

Strategie di difesa e di offesa nei confronti del mondo animale

I reperti di cultura materiale riguardanti i selvatici, che si conservano nel Museo Etnografico Dolomiti, sono quasi sempre strumenti di costrizione o di morte: trappole e tagliole posizionate nei luoghi di passaggio, nelle soffitte e nelle cantine, negli orti, vicino ai pollai, provocavano la cattura e la morte degli animali (volpi, tassi, faine, topi, talpe), alcuni dei quali venivano cacciati sistematicamente per ricavarne pelli da vendere; gabbie e gabbiette di varie forme e dimensioni per gli uccelli da richiamo o da compagnia.

Proteggere lo spazio agrario e gli animali domestici dalle aggressioni dei nocivi era la motivazione primaria che spingeva i contadini bellunesi a mettere in atto anche altre strategie difensive: spaventapasseri, inefficaci guardiani di campi e orti, ma importanti sul piano simbolico; campanacci appesi alle viti o vecchie lame di falce che producevano rumore; spargimento di sostanze sgradite come il letame suino intorno ai campi di mais per scoraggiare le incursioni del tasso.

La caccia vera e propria si basava su presupposti diversi: l’uccisione dell’animale, sotto forma di prelievo (rane, lumache, gamberi di fiume, uccelli nel nido), o attraverso tecniche e strumentazioni più complesse, era finalizzata, seppur limitatamente, ad arricchire la dieta quotidiana.

Nelle zone di Livinallongo e Ampezzo, che hanno fortemente risentito dell’influenza austriaca, non si cacciavano gli uccelli di piccola taglia, in osservanza alle numerose leggi promulgate per abolire l’uccellagione nelle diverse province dell’Impero austro-ungarico.

Altre erano le motivazioni alla base della caccia “sportiva”, effettuata con armi da fuoco e con l’ausilio dei cani. Spesso riservata alle classi più abbienti, anche per i costi che implicava, aveva una valenza soprattutto ludica, finalizzata anche all’ottenimento di un trofeo da esibire. La caccia alla lepre, al camoscio, alla pernice bianca è stata progressivamente soppiantata da quella al capriolo e al cervo, che assieme ai mufloni, di recente introduzione nell’area del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, trovano oggi le condizioni ambientali più idonee al loro sviluppo.


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Aggiornata lunedì 14 novembre 2022 a cura di Marco Zucco

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